Tutela del lavoratore: licenziamento illegittimo e reintegrazione quando la condotta è punibile con la sanzione conservativa

La sentenza n.7660 del 19.3.2019 della Cassazione stabilisce l’applicazione del comma 4 dell’art.18 L.300/70 che prevede il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro nel caso in cui manchi la proporzionalità tra la condotta punita e la sanzione espulsiva applicata, ove il lavoratore risulti assunto prima del “Jobs Act”.

Con la sentenza n.7660 del 19 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice è tenuto ad applicare la tutela reintegratoria, se la condotta del lavoratore è punibile con una sanzione conservativa, come specificato al comma 4 dell’art.18 della L.300/70 (modificato dall’art.1 comma 42 L.92/2012 c.d. “Legge Fornero”).

Il caso specifico portato davanti alla Corte, riguardava un lavoratore licenziato senza preavviso per aver utilizzato la carta di credito aziendale in modo improprio durante una trasferta, effettuando spese personali per un totale di 6.885 euro, a danno della società di cui era dipendente.

Il licenziamento disciplinare disposto dal tribunale di primo grado è stato però annullato dalla Corte d’Appello, che ha riconosciuto al lavoratore la tutela reintegratoria e ha stabilito che la condotta contestata non abbia costituito un “grave nocumento morale e materiale” o “delitto” al punto da portare al licenziamento senza preavviso del lavoratore.

La decisione dei giudici di merito e l’applicabilità del comma 4 dell’art.18 L.300/70 è stata confermata dalla Corte di Cassazione che ha ritenuto la non proporzionalità della sanzione espulsiva inflitta rispetto al comportamento contestato. Nel caso specifico, la condotta del lavoratore era punibile con una sanzione conservativa del rapporto di lavoro (un richiamo verbale, scritto, una multa o una sospensione fino a 10 giorni), come disposto dall’art.9 del contratto collettivo applicato (Metalmeccanici Industrie). Inoltre, era stato accertato che la società aveva già recuperato l’intero importo attraverso prelievi in busta paga, come stabilito dalla circolare aziendale in materia di spese non autorizzate durante le trasferte e in seguito al provvedimento del giudice di primo grado.

L’applicazione del comma 4 dell’art.18 L.300/70, come modificato dall’art.1 L.92/2012, prevede oltre all’obbligo di reintegro del lavoratore, la condanna del datore di lavoro:

– a pagare un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di fatto che va dal giorno del licenziamento a quello dell’effettivo reintegro (dedotto quanto il lavoratore ha effettivamente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, ovvero quanto lo stesso avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) comunque in misura non superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

– a versare i contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello del reintegro.

Per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, la tutela reintegratoria è prevista dall’art.3, comma 2 del Dlgs. 23/2015 (Jobs Act) e si applica solo in caso di licenziamento disciplinare (per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa), in cui sia stata dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato.

Per quanto riguarda invece al licenziamento disciplinare per una condotta punibile con sanzione conservativa, il lavoratore ha diritto alla sola indennità risarcitoria, non assoggettata a contributi, la quale – in relazione alle aziende che occupano più di 15 dipendenti – è quantificabile (dopo l’intervento operato dal D.L. n.87/2018, c.d. “Decreto Dignità”) tra un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.